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L’Ipoparatiroidismo è una sindrome che impedisce il corretto metabolismo dei componenti minerali della massa ossea, il Calcio ed il Fosforo.
Si manifesta come conseguenza di un deficit o dell’assenza completa di Paratormone, secreto dalle ghiandole Paratiroidi, per patologie ad esse legate, oppure per avvenuta ablazione chirurgica durante un intervento di tiroidectomia. Esso è caratterizzato da ipocalcemia e iperfosfatemia ed è spesso associato a tetania cronica.
L’ipoparatiroidismo idiopatico è una rara condizione nella quale le ghiandole paratiroidi sono assenti o atrofiche. Può presentarsi sporadicamente o come condizione ereditaria. Altre forme ereditarie comprendono la sindrome genetica dell’ipoparatiroidismo legato al cromosoma X, il morbo di Addison e la candidosi mucocutanea.
Lo pseudoipoparatiroidismo è un gruppo di disordini caratterizzati non dal deficit di PTH, bensì dalla resistenza degli organi bersaglio alla sua azione.
La caratteristica distintiva della sindrome di Ipoparatiroidismo è un’incapacità del rene di svolgere la sua normale funzione sul metabolismo di Calcio e Fosforo e, conseguente osteomalacia nel paziente affetto.
La terapia in caso di Ipoparatiroidismo conclamato è volta essenzialmente a normalizzare i livelli ematici di Calcio, e comprende infusioni endovenose di Calcio Gluconato, somministrazione di Vit. D, somministrazione di integratori di Calcio, il tutto sotto stretto controllo medico per evitare stati di Ipercalcemia.
I linfociti sono globuli bianchi essenziali per la risposta immunitaria dell’organismo, in quanto sono gli autori della risposta immunologica acquisita, ossia di quella reazione di difesa contro i microrganismi estranei non innata, ma che viene indotta tramite l’introduzione di un antigene. Si distinguono in tre popolazioni linfocitarie: linfociti T, linfociti B e linfociti Natural Killer (anche linfociti NK).
I linfociti T sono capaci di riconoscere e distruggere le cellule infettate, prevenendo la riproduzione del patogeno e delle cellule impazzite (tumorali) con un meccanismo tipico di ogni individuo, che è poi quello che causa il rigetto nei trapianti. La differenza con i linfociti B (detti anticorpi o immunoglobuline) è che mentre questi ultimi sono in grado di legarsi direttamente agli antigeni, le cellule T si legano soltanto ad altre cellule umane che presentano frammenti di antigene, perché infettate oppure perché deputate alla digestione dell’estraneo . Nel primo caso, l’intervento dei linfociti T citotossici porta alla distruzione della cellula infettata, nel secondo l’intervento dei linfociti T helper aumenta la risposta immunitaria.
I linfociti B possono essere paragonati a tante sentinelle, ognuna delle quali possiede un numero esiguo di cloni capaci di riconoscere un ben preciso antigene grazie alla presenza di recettori (anticorpi) sulla propria membrana esterna. Quando nel torrente sanguigno un linfocita B incontra il proprio antigene, prolifera diverse volte dando origine a cellule figlie dette cloni; una parte della popolazione clonale si attiva in plasmacellule, che sintetizzano in gran quantità gli anticorpi specifici presenti sulla membrana del loro precursore; la rimanente quota funge da serbatoio di memoria contro future infezioni, che verranno contrastate in maniera più rapida ed efficace. La produzione dei cloni linfocitari avviene sotto lo stimolo dei linfociti T helper. Gli anticorpi prodotti dalle plasmacellule, noti anche come immunoglobuline, si legano agli antigeni segnalandone la pericolosità alle cellule preposte alla loro distruzione.
I linfociti T non sono rappresentati da una popolazione omogenea, ma questa risulta formata da diverse sottopopolazioni:
linfociti Tc, citotossici o linfociti Natural Killer intervengono nella risposta immunitaria precoce. Il loro nome ne lascia chiaramente trasparire la funzione biologica: i linfociti natural killer, infatti, inducono al suicidio la cellula bersaglio (in particolare quelle tumorali infettate da virus). Allo stesso tempo secernono varie citochine antivirali, che inducono le cellule non ancora infettate ad attuare meccanismi in grado di inibire la replicazione dei virus.
linfociti Th (T helper): stimolano e sostengono l’azione di riconoscimento e quella di risposta dei linfociti T e B (favorendone la differenziazione in plasmacellule e la produzione di anticorpi); costituiscono il bersaglio elettivo del virus dell’AIDS (HIV);
linfociti Ts (T suppressor): bloccano l’attività dei linfociti T helper e citotossici;
linfociti T DHT (T Delayed Type Hypersensitivity): sono mediatori dei fenomeni infiammatori ed in particolare della ipersensibilità ritardata:
Al contrario dei linfociti B, la cui vita media è di pochi giorni, i linfociti T sopravvivono per diversi mesi o anni.
Esistono alcune sostanze che sono in grado di stimolare la produzione di linfociti. Ciò è particolarmente utile per rafforzare le difese immunitarie. L’aminoacido arginina, per esempio, è in grado di stimolare la produzione di linfociti T. In effetti bastano pochi giorni di assunzione di una dose di arginina non minimale (0,5 g per ogni 10 kg di peso) e il numero dei linfociti aumenta sensibilmente.
Si tratta nel complesso di cellule iperspecializzate, in grado di combattere ogni diverso antigene che aggredisca l’organismo. In caso di una prima esposizione immunologica i tempi di risposta sono piuttosto lunghi, ma grazie alla conservazione di una “memoria” i successivi attacchi vengono debellati in maniera assai più rapida ed efficace. E’ su questo principio che si basano le vaccinazioni.
Soltanto il 5% del patrimonio linfocitario dell’organismo è presente nel circolo sanguigno; la quota preponderante di linfociti si trova invece nei tessuti linfatici (milza, timo, e soprattutto linfonodi). A questo livello, i linfociti hanno la possibilità di maturare ed agire prontamente contro gli antigeni penetrati nell’organismo attraverso mucose o soluzioni di continuo della cute. In presenza di una severa infezione, i linfociti si moltiplicano velocemente, aumentando – talvolta in misura considerevole – il volume dei linfonodi.
Il Metabolismo Basale rappresenta il consumo energetico che viene impiegato dall’organismo per tutti i processi fisiologici vitali e coinvolge tutti gli organi, le ghiandole e la muscolatura volontaria ed involontaria, la generazione di nuove cellule e l’eliminazione di quelle vecchie o degradate. Quando il Metabolismo rallenta, per l’età oppure per altri fattori, tra cui la sedentarietà, la Massa Magra, cioè i muscoli, viene progressivamente sostituita da Massa Adiposa.
Le reazioni biochimiche metaboliche si suddividono in due “famiglie”:
Reazioni Cataboliche: sono quelle reazioni degradano le molecole complesse in molecole più semplici con rilascio di energia immagazzinata nelle molecole organiche. Esempi di reazioni cataboliche sono le reazioni della glicolisi, quelle del ciclo di Krebs ecc.. Le reazioni cataboliche producono residui che vengono eliminati tramite l’escrezione renale od intestinale.
Reazioni Anaboliche: in queste reazioni le molecole semplici vengono combinate tra di loro per sintetizzare i componenti strutturali e funzionali delle cellule, a partire dagli aminoacidi per formare le proteine, oppure dal glucosio per formare il glicogeno. Sono reazioni che richiedono un dispendio di energia superiore a quella prodotta e perciò sono le reazioni da stimolare quando si voglia convertire la massa grassa in massa magra.
Questo significa che, a parità di calorie introdotte con l’alimentazione, un individuo può ingrassare più di un altro in funzione più che della propria alimentazione, del proprio stile di vita, a seconda che l’equilibrio sia spostato più sulla via catabolica rispetto a quella anabolica.
E’ quindi estremamente importante rapportare la propria alimentazione al reale fabbisogno giornaliero, che è il risultato della somma del metabolismo basale e dell’attività fisica.
Non si può prescrivere una dieta dimagrante, oppure impostare una dieta equilibrata per uno sportivo praticante o semplicemente alimentarsi per mantenere al meglio le proprie funzioni vitali prescindendo dalla conoscenza delle abitudini alimentari, e quindi della composizione della dieta quotidiana, e della condotta di vita del soggetto.
Dato che la misurazione del metabolismo basale in maniera strumentale è estremamente complessa, normalmente si ricorre a formule matematiche che tengono conto di alcuni parametri, come sesso (il metabolismo basale è più elevato negli uomini rispetto alle donne), età, altezza, peso, debitamente corrette secondo lo stile di vita del soggetto (sedentario, sportivo, esercitante lavori manuali pesanti ecc.).
Schematicamente l’attività può essere suddivisa in leggera, moderata ed intensa.
Leggera è l’attività tipo di chi svolge lavoro d’ufficio o studia, dedicando non più di ½ ora al moto, inteso come camminata.
Moderata quella di chi svolge lavoro sedentario ma dedica dalle 3 alle 6 ore settimanali a sport aerobici.
Intensa è l’attività di chi svolge lavori manuali che comportino sforzi importanti oppure pratichi sport aerobici per 10-12 ore settimanali.
Una volta determinato quale sia il metabolismo basale dell’individuo in questione ed apportati gli opportuni correttivi sarà agevole determinare quale dovrà essere la sua alimentazione standard nell’arco della giornata.
L’Ossigeno è l’elemento più abbondante e più diffuso in natura: allo stato libero è contenuto nell’aria (20,95% del volume o 23,14% della massa), combinato si trova nell’acqua (88,8% in massa) e costituisce circa il 27% della crosta terrestre.
E’ uno degli elementi fondamentali nella costituzione degli organismi viventi. È utilizzato dagli organismi aerobi come accettore finale di elettroni nella catena respiratoria (meccanismo della fosforilazione). A causa della sua struttura elettronica l’Ossigeno può subire una riduzione parziale dando così luogo allo ione radicalico superossido O2− da cui si possono generare altre specie radicaliche dotate di elevata tossicità.
Anche nel caso dell’Ossigeno, che viene introdotto essenzialmente tramite la respirazione, ci troviamo di fronte ad un elemento indispensabile come comburente nelle reazioni biochimiche che avvengono nell’organismo vivente.
Succede però che in determinate condizioni, come abbiamo visto sopra, esso può diventare un fattore altamente patogenico quando i Radicali liberi, che in condizioni di equilibrio assolvono a molte funzioni fondamentali dell’organismo, sfuggono all’autoregolazione propria dell’organismo sano e, moltiplicandosi a dismisura quando trovano un terreno favorevole, diventano uno dei meccanismi di danno cellulare più importante.
I Radicali Liberi sono molecole altamente instabili e particolarmente reattive. Essi reagiscono facilmente con una qualsiasi molecola si trovi in loro prossimità (carboidrati, lipidi, proteine, acidi nucleici) danneggiandola e spesso compromettendone la funzione. Inoltre, reagendo con altre molecole, hanno la capacità di automoltiplicarsi, trasformando i loro bersagli in radicali liberi e scatenando così reazioni a catena che possono provocare estesi danni nella cellula e, di conseguenza, nei tessuti. In condizioni normali, ciascuna cellula produce radicali liberi tramite vari processi, come reazioni enzimatiche, fosforilazione ossidativa, difesa immunitaria (granulociti neutrofili e macrofagi). Queste piccole quantità sono tollerate dall’organismo e vengono inattivate da sistemi enzimatici come il glutatione ed altri antiossidanti detti scavenger per la loro capacità di neutralizzare i radicali liberi.
Qualora la produzione di radicali liberi diventi eccessiva, si genera uno stato di malessere più o meno grave chiamato Stress Ossidativo. I sistemi enzimatici e gli antiossidanti intracellulari non riescono più a far fronte alla sovrapproduzione e i radicali liberi generano danno cellulare che può essere sia reversibile, in tal caso la cellula torna alle condizioni normali, o irreversibile, con conseguente morte cellulare per apoptosi o per necrosi.
Lo stress ossidativo è imputato quale causa o concausa di patologie quali il cancro, l’invecchiamento cellulare generale, malattie cardiovascolari e malattie neurodegenerative, psoriasi, osteoporosi, vitiligine ed altre.
In questi casi, prima che le conseguenze divengano irreversibili, è opportuno intervenire eliminando le cause dello stress (soprattutto stile di vita e comportamenti scorretti, come esposizione prolungata ai raggi solari senza filtri protettivi, esposizione a radiazioni ionizzanti, fumo di sigaretta, disordini alimentari, dieta povera di frutta e verdura, patologie metaboliche, predisposizione genetica, abuso di alcol, eccessiva attività fisica, esposizione a sostanze chimiche ecc.), variando opportunamente l’alimentazione e ricorrendo a presidi di integrazione con funzione antiradicalica, protettiva della membrana cellulare, drenante ed anti age.
L’Osteoporosi è una patologia ad elevato costo sociale che coinvolge una larga parte della popolazione anziana. La sua incidenza è cresciuta notevolmente negli ultimi decenni in relazione all’allungamento dell’aspettativa di vita.
Coinvolge il 23% circa della popolazione femminile al di sopra dei 40 anni ( la percentuale aumenta drammaticamente oltre i 60anni ) ed il 14% della popolazione maschile al disopra dei 60 anni.
La cura e la prevenzione rappresentano una delle maggiori sfide affrontate dalla Sanità in ambito europeo in quanto la patologia causa fratture a carico delle vertebre, del femore e del polso, spesso con esito mortale. L’informazione e la prevenzione sono l’arma più efficace per ridurre il numero di fratture e la conseguente disabilità che rappresentano, come detto prima, un costo sociale elevatissimo.
Il tessuto osseo è costituito da una proteina, il Collagene, e da Fosfato di calcio, e si rinnova costantemente, subendo però un rallentamento con l’avanzare dell’età e per altri fattori, tra cui, ad esempio il calo della produzione ormonale nei soggetti di sesso femminile.
Un’ altra importantissima causa di deplezione o carenza di Calcio e Fosforo è la malnutrizione o la presenza di patologie renali, frequenti nell’anziano.
Analizziamo ora principali fattori di rischio, suddividendoli in fattori che possono essere corretti ed altri intrinseci :
Possono essere corretti:
Alimentazione povera di calcio
Fumo
Disordini alimentari, come l’Anoressia e la Bulimia.
Sedentarietà
Abuso di alcool, che interferisce coi meccanismi di captazione del calcio
Uso di corticosteroidi antinfiammatori ed altri farmaci
Scarsa esposizione alla luce solare
Insufficiente intake di vitamina D con gli alimenti
Fattori intrinseci:
Sesso, le donne hanno un’incidenza di fratture doppia rispetto agli uomini.
Età, man mano che avanza aumenta il rischio di osteoporosi.
Razza, l’incidenza è superiore nei bianchi
Famigliarità
Corporatura, i magri, probabilmente perché hanno meno massa ossea di riserva, sonopiù soggetti alle fratture.
Eccesso di ormoni tiroidei
Patologie renali a carico dei tubuli, che sono deputati al riassorbimento del Calcio, soggetti gastrectomizzati, sofferenti di morbo di Chron, celiaci, sofferenti di patologie a carico delle ghiandole paratiroidi e di morbo di Cushing (patologia a carico delle ghiandole surrenali con iperproduzione di corticosteroidi).
La malattia, nelle sue prime fasi, è asintomatica, ma quando le ossa cominciano ad indebolirsi progressivamente iniziano a palesarsi i sintomi, e cioè mal di schiena, anche intenso, provocato dalla frattura o dal collasso di una vertebra, diminuzione della statura, postura curva, che evolvono in seguito in frattura delle vertebre, del polso, del femore o di altre ossa.
Le fratture sono le complicazioni più frequenti e gravi dell’osteoporosi. Spesso colpiscono le vertebre o il femore, cioè le ossa che sostengono direttamente il corpo. Le fratture al femore spesso sono provocate da una caduta. Anche se la maggior parte dei pazienti si riprende relativamente bene grazie alle terapie chirurgiche moderne, le fratture al femore possono essere invalidanti e causare persino la morte come complicazione postoperatoria, soprattutto tra gli anziani. Sono frequenti anche le fratture al polso dovute alle cadute. In alcuni casi le fratture alla colonna vertebrale possono verificarsi anche senza eventi traumatici, come una caduta. Le ossa della schiena (vertebre) possono essere talmente deboli che iniziano a comprimersi e a collassare. Le fratture da compressione sono molto dolorose ed impiegano molto tempo per guarire e causano diminuzione della statura ed assunzione di una postura curva.
Per la prevenzione è indispensabile sottoporsi ad esami che possono rivelare precocemente l’insorgere della patologia, e cioè ad indagini strumentali in grado di rilevare la densità ossea, come la mineralometria ossea computerizzata (MOC),l’ Assorbimetria a raggi X a doppia energia, che misura la densità delle vertebre, del femore e del polso, le zone che hanno maggior probabilità di essere colpite dall’osteoporosi, l’Ecografia, la Tomografia computerizzata (TAC) quantitativa e l’Assorbimetria a singolo raggio fotonico.
Per curare e prevenire l’Osteoporosi i consigli da seguire sono:
Seguire un’alimentazione corretta, con alimenti che contengono Calcio (e quindi latte, i derivati del latte come i formaggi, le mandorle, i broccoli, gli spinaci, i cavoli cotti, il salmone in scatola, le sardine ed i prodotti derivati dalla soia, come il tofu, le arance ), vitamina D (presente nel pesce grasso, ad esempio nel tonno e nelle sardine, e nel tuorlo d’uovo ) ed eventualmente assumere integratori di calcio ( gli integratori di calcio sono altrettanto efficaci del calcio ricavato dalla dieta: sono tra l’altro poco costosi e ben tollerati dall’organismo. Un effetto indesiderato causato dagli integratori di Calcio è la costipazione, cioè la difficoltà a defecare. In questo caso basta bere più acqua ed inserire nella dieta più alimenti ricchi di fibre, come frutta e verdura ) e di vitamina D se l’apporto alimentare è insufficiente (inferiore alle 500 Unità internazionali al giorno) o se, per una qualsiasi ragione, l’esposizione alla luce solare è insufficiente o nulla.
Disordini alimentari. Le donne e gli uomini affetti da anoressia o da bulimia hanno un maggior rischio di diminuzione della densità ossea.
Stile di vita sedentario. Chi sta a lungo seduto ha maggiori rischi di soffrire di osteoporosi rispetto a chi è più attivo.
Consumo eccessivo di alcool.
Uso di corticosteroidi antinfiammatori.
Mantenere una postura corretta quando si lavora per lungo tempo ad una scrivania, si guida, si legge, con frequenza interrompere ed alzarsi in posizione eretta, praticando alcuni semplici movimenti di stretching.
Prevenire le cadute accidentali, ponendo attenzione alla superficie su cui si cammina, per evitare ostacoli, munire di superfici antiscivolo docce e vasche da bagno.
Sollevare pesi piegando le ginocchia, non la schiena.
Ricorrere, in caso di necessità, alla terapia farmacologica prescritta dal medico ( terapia ormonale, Calcitonina ed altri farmaci, che però spesso hanno effetti indesiderati importanti ) e gestire un’opportuna terapia del dolore.
Ricordare che prevenire è sempre meglio che curare, quindi far propri i tre capisaldi per una buona salute dell’apparato osseo: adeguato apporto di calcio, adeguato apporto di vitamina D, esercizio fisico regolare, con esercizi di forza per rafforzare la muscolatura e mantenere una corretta postura ed esercizi di resistenza ( camminare, correre, fare le scale, andare in bicicletta sono i più semplici ), che servono a coinvolgere le ossa delle gambe e la parte bassa della schiena.
Una situazione patologica che coinvolge l’Apparato Renale, con perdita progressiva della sua funzionalità, fattore che si verifica specialmente nell’anziano per varie cause, tra le quali la più importante è la scarsa idratazione, porta a varie complicanze, fino ad arrivare alla perdita progressiva e irreversibile della funzione renale, che rende necessario un trattamento sostitutivo, rappresentato dalla dialisi o dal trapianto.
Tra le importanti funzioni svolte dal rene rientra l’attivazione della vitamina D (colecalciferolo) introdotta con la dieta. Questa viene dapprima metabolizzata dal fegato in idrossicolecalciferolo (25-OH-D3), poi a livello renale subisce un’ulteriore idrossilazione che la trasforma nella sua forma attiva (diidrossicolecalciferolo o 1,25-OH-D3). Le funzioni della vitamina D attiva consistono nel favorire l’assorbimento del calcio nell’intestino tenue e la sua mobilizzazione dall’osso.
Di conseguenza, una riduzione della vitamina provocherà una tendenza all’ipocalcemia, con effetti devastanti nelle donne post menopausa e negli anziani, soggetti nei quali la frattura dell’anca o del femore sono purtroppo frequenti. La vitamina D, inoltre, inibisce l’azione del paratormone (PTH), un ormone prodotto dalle paratiroidi, anch’esso responsabile del mantenimento della calcemia. Il paratormone agisce sul tubulo prossimale favorendo il riassorbimento di calcio e aumentando l’escrezione dei fosfati; agisce inoltre sull’osso promuovendo la mobilizzazione del calcio sotto forma di idrossiapatite e stimola l’attivazione renale della vitamina D. In condizioni normali, vitamina D e paratormone agiscono sinergicamente per mantenere la stabilità del calcio plasmatico.
Nell’insufficienza renale cronica, la produzione della vitamina D, e quindi la calcemia, tende a ridursi. Contemporaneamente, la riduzione progressiva della velocità di filtrazione glomerulare comporta una ridotta escrezione urinaria di fosfato, determinando un aumento dei livelli plasmatici di questa sostanza. La riduzione del calcio plasmatico e l’aumento del fosfato stimolano la produzione di paratormone; questo rappresenta un tentativo di riequilibrare i due ioni regolandone l’escrezione renale. Si instaura così un iperparatiroidismo secondario. Nella malattia renale cronica moderata l’aumento del PTH riesce ancora a compensare le alterazioni metaboliche; con la riduzione della velocità di filtrazione glomerulare a meno di 30 ml/min (stadio 4), cominciano a manifestarsi ipocalcemia e iperfosforemia.
Il processo digestivo, o digestione inizia dalla bocca, dove il cibo viene sminuzzato dalla masticazione ed addizionato di saliva, contenente enzimi di vario tipo, tra cui la ptialina, un’amilasi in grado di scindere i legami glucidici dell’amido, dando luogo alla formazione del bolo.
La masticazione, e quindi la dentizione che l’effettua, riveste una grande importanza in quanto più il cibo viene sminuzzato ed umettato di saliva, migliore sarà la digestione dello stesso. Mantenere in buon ordine i denti è estremamente importante, in quanto una mala occlusione dentale o peggio da un’edentulia totale o parziale generano problemi di postura e, da studi recenti, addirittura sarebbero collegate a malattie degenerative come il morbo di Alzheimer.
Il bolo, con l’atto della deglutizione, inizia quindi il suo percorso verso la faringe, che si trova nella parte posteriore della cavità orale e che rappresenta il punto in cui si incrociano l’apparato respiratorio e la via digerente; l’epiglottide, che è una valvola cartilaginea, evita che il bolo alimentare finisca nella trachea anziché nell’esofago, la prossima tappa percorsa dal bolo che, grazie alle contrazioni peristaltiche, attraverso la valvola del cardias, raggiunge lo stomaco.
Nello stomaco il bolo alimentare viene mescolato con il succo gastrico, prodotto dalla membrana mucosa dello stomaco, che contiene pepsina (un enzima proteolitico che rompe le catene proteiche in pezzi più piccoli, i cosiddetti peptoni), lipasi gastriche (enzimi che attaccano i lipidi), chimosina (noto anche come rennina, un enzima necessario alla digestione della caseina) e acido cloridrico (che ha funzione antibatterica), e trasformato in chimo. Le pareti dello stomaco sono ricoperte da uno strato di muco che, in condizioni di buona salute, serve a proteggerlo dall’acido cloridrico che potrebbe danneggiarne le pareti. Nella parte inferiore dello stomaco è situato il piloro, una valvola che serve da collegamento con l’intestino tenue, un organo lungo circa otto metri che è formato da duodeno, digiuno e ileo.
Nell’intestino tenue avvengono le fasi finali della digestione; a esse partecipano fegato e pancreas; il fegato producendo la bile e il pancreas attraverso la produzione di succo pancreatico. Grazie alle azioni combinate dei succhi intestinale, pancreatico e biliare, il chimo si trasforma in chilo (processo di chilificazione).
La parte finale dell’apparato digerente è l’intestino crasso (anche grande intestino), un organo lungo poco meno di due metri e composto da tre parti (cieco, colon e retto). Nell’intestino crasso vengono assorbiti l’acqua, le vitamine e i sali minerali.
I materiali che non vengono digeriti passano nel retto e vengono espulsi attraverso l’ano.
Non esistono proteine indigeribili, ma spesso ci vengono riportati, da chi abbia assunto integratori proteici o stia seguendo una dieta iperproteica, alcuni disturbi di carattere gastro intestinale. Naturalmente questo nei soggetti che non abbiano subito interventi di resezione gastrica od intestinale, oppure siano affetti da patologie renali od epatiche, nei quali taluni alimenti possono causare disturbi molto più gravi.
I sintomi più frequenti sono la “pesantezza” post prandiale, meteorismo e scariche frequenti e diarroiche.
Analizziamo qui quali sono gli effetti negativi causati dall’eccessiva ingestione di proteine, siano esse animali o vegetali, anche se quelle animali producono effetti più marcati.
Se prendiamo in considerazione una schematizzazione della dieta mediterranea, la classica piramide alimentare, vedremo che al vertice della stessa si trovano le Proteine nobili, rappresentate dalla carne in tutte le sue declinazioni (bovina, suina, animali di bassa corte, salumi, insaccati, pesce ecc.) e poco più in basso le uova ed i latticini. Il contributo proteico apportato da questo tipo di dieta è in effetti elevato, ma comunque questi alimenti non dovrebbero essere assunti più di 3-4 volte alla settimana.
Assumendone in maggior quantità e con maggiore frequenza, come ad esempio nelle diete dimagranti iperproteiche o mirate all’incremento della massa muscolare, il primo effetto negativo è la produzione di un eccesso di acido urico che può causare sovraccarico a livello dell’apparato renale o, nel caso peggiore, patologie importanti, dai calcoli renali alla gotta.
Un’altra complicazione causata dall’eccesso, è data dalla cattiva digestione, con sovraccarico del sistema epatico e renale, accompagnata dalla putrefazione proteica a livello intestinale, che produce dei veleni, alcuni dei quali assai pericolosi.
La putrefazione è un processo di modificazione biochimica di una sostanza organica dovuta all’azione di alcuni microrganismi, generalmente batteri, che attaccano le proteine trasformandole in prodotti diversi da quelli originali (amine). Interessa le carni, le uova, i formaggi ed altri alimenti proteici che trasforma in sostanze gassose ed in un sottoprodotto a reazione basica in cui possono vivere i parassiti intestinali. La putrefazione è sempre accompagnata da gas o da feci con odori assai sgradevoli. Quando la digestione non avviene correttamente, gli aminoacidi, derivati dalle proteine mal digerite, subiscono un processo di “decarbossilazione” che produce le seguenti amine tossiche:
arginina –> agmatina
cistina e cisteina –> mercaptano
istidina –> istamina
lisina –> cadaverina
ornitina –> putrescina
tirosina –> tiramina
triptofano –> indolo e scatolo
Molte di queste amine sono dei potenti vasocostrittori. Va notato che l’indolo e lo scatolo (metilindolo) sono responsabili in gran misura del particolare odore delle feci. Questo porta a comprendere perché le feci dei vegetariani non hanno odore o ne hanno uno assai leggero, così come le feci di chi si alimenta correttamente badando agli abbinamenti corretti tra i cibi.
Un altro problema rilevato in special modo da chi ricorre all’integrazione proteica utilizzando prodotti del tutto od in parte derivati dal latte bovino di bassa qualità è la diarrea che colpisce il soggetto dopo l’ingestione dell’integratore. Questi episodi sono dovuti all’intolleranza al Lattosio, presente nei prodotti con latte integrale.
Quale può essere la soluzione?
Per prima cosa vanno valutati con attenzione gli apporti proteici derivanti dall’assunzione di alimenti e non mescolare tra loro le fonti proteiche (carni e latticini, uova e carne ecc.). E’ indispensabile utilizzare fonti proteiche contenenti in percentuale più proteine e meno grassi e/o residui che possano scatenare le reazioni avverse (e quindi più prontamente digeribili ed assimilabili) e ricorrere, quando necessario, ad un’integrazione mirata con Aminoacidi Essenziali, che non contengano eccipienti ed altre sostanze, che perciò non creino residui che possano dar luogo a fermentazioni, ma vengano prontamente e totalmente utilizzati in un percorso anabolico che privilegi la formazione ed il mantenimento della massa magra a scapito del deposito di massa grassa.
Il primo e più importante concetto che è indispensabile avere ben chiaro è che non esistono integratori, sotto qualsiasi forma, che facciano magicamente dimagrire. Una bustina, una compressa, una capsula, un beverone non servono assolutamente a nulla se nel contempo non si seguono un regime alimentare ed uno stile di vita corretti, praticando del moto (senza eccessi) che aiuti a stimolare il metabolismo e, di conseguenza, l’eliminazione del tessuto adiposo. Certo, essi esplicano delle azioni di stimolo delle funzioni dell’organismo ed attenuano lo stimolo fisiologico della fame, con vari meccanismi, alcuni dei quali nocivi, ma comunque presi singolarmente non risolvono il problema alla radice, anzi spesso lo aggravano, causando una perdita di peso riconducibile al calo della massa magra, cioè della muscolatura, con conseguente inflaccidimento dei tessuti cutanei.
Partendo da questo presupposto, quello che posso consigliare a chi voglia dimagrire e nel contempo depurare l’organismo, è di seguire uno schema alimentare collaudato e per quanto possibile personalizzato, di dedicare almeno mezz’ora al giorno al movimento (basta la classica passeggiata a passo veloce continuativa) ed assumere un integratore di aminoacidi essenziali, cioè quelli che l’organismo umano non è in grado di sintetizzare, che sostituisca in toto od in parte l’apporto di proteine da altre fonti, così da ridurre od eliminare l’intake di grassi animali e di scorie nocive per gli apparati escretori, la cui composizione sia caratterizzata dalla proporzione dei diversi aminoacidi , presenti in quantità bilanciata tale che non vi siano aminoacidi limitanti.
Un’altra caratteristica essenziale di tale integratore è determinata dalla natura chimica dei componenti, infatti gli aminoacidi si comportano da anfoteri, cioè acidi in ambiente basico e viceversa basici in ambiente acido, garantendo così un effetto tampone; il grande vantaggio sta nel fatto che gli amminoacidi rispetto alle proteine sono già predigeriti e vengono assimilati in meno di 30 minuti nel primo tratto del duodeno, potendo essere utilizzati con efficacia anche nei soggetti gastroresecati, e resi immediatamente disponibili nel circolo sanguigno per la sintesi proteica, con un apporto calorico pari a circa 40 calorie per 10 grammi di prodotto, che equivalgono come contenuto proteico a 350 g di carne rossa. E’ intuitivo come un’integrazione effettuata con un prodotto avente queste caratteristiche, crei immediati vantaggi per chi voglia perdere peso, espresso in massa grassa, senza intaccare, anzi aumentando, la massa magra e la tonicità tissutale, e dato che l’utilizzo degli aminoacidi in qualità di precursori nella sintesi proteica è pressochè totale, non si ha formazione di cataboliti che sovraccaricherebbero inutilmente rene e fegato come succede con altri integratori proteici o con gli alimenti.
Data la mia esperienza, l’integratore che ritengo più valido sotto tutti i profili, in quanto contiene tutti gli aminoacidi essenziali, di derivazione vegetale, in sequenza ed in percentuale definita, con un NNU (Utilizzo netto di azoto) quasi totale secondo la Food and Drug americana, che lo ha certificato, è il SON Formula MAP, copiato da anni da svariati produttori, ma mai eguagliato.
E’ proprio questa sua particolarità, unica tra una miriade di proposte di integratori proteici, unita al fatto che il prodotto sia stato sperimentato in ambito ospedaliero per lungo tempo, in vari reparti di cliniche universitarie in Italia, dove i test sono stati eseguiti quando il prodotto è stato importato per la prima volta, per varie necessità terapeutiche, come il trattamento della malnutrizione senile, nella nutrizione dei nefropatici dializzati e sofferenti di varie patologie renali fino al trattamento dei cachettici, e precedentemente in America, in una struttura controllata dalla F.D.A., Food and Drug Administration, dove sono stati eseguiti studi clinici in doppio cieco e triplo cross over (doppio cieco significa che nè i medici né i pazienti erano a conoscenza di cosa assumessero, triplo crossover significa che c’erano tre gruppi di pazienti che sono stati alternati tra loro ). Questi studi hanno dimostrato come il Son formula non produca scorie azotate ed abbia un Utilizzo Netto di Azoto (NNU) pari al 99% , cioé su 100 parti, 99 vengono assimilate ed una sola parte viene escreta sotto forma di scorie, il che fornisce un risultato eccezionale, considerando che l’uovo, il migliore alimento proteico che ci dona la natura ha un NNU pari a circa il 65%, la carne rossa il 32% e la soia il 16 %, e ne fanno l’integratore di elezione per sostituire parzialmente od in toto le proteine animali (ed il supporto integrativo migliore per quelle vegetali nei vegetariani e vegani), il tutto senza sovraccaricare inutilmente fegato e reni, come purtroppo succede nelle diete iperproteiche.
E’ intuitivo come il poter sostituire un alimento con elevato contenuto di proteine, ma anche elevato tenore di grassi, avendo come effetto secondario una diminuzione dello stimolo della fame e dato che gli schemi alimentari suggeriti, che naturalmente differiscono tra loro nel caso di un’obesità conclamata, oppure in caso di semplice sovrappeso, prevedono un forte consumo di liquidi, verdura e frutta (che fornisce la quota di carboidrati necessari al buon funzionamento dell’organismo), oltre all’astensione da alimenti intossicanti, permette di raggiungere rapidamente e contemporaneamente uno stato di disintossicazione generale, che può essere ulteriormente accelerato o potenziato assumendo integratori opportuni, come la Zeolite e la Montmerillonite, idealmente contenute in Elkopur 312.